La lettera aperta del segretario nazionale del PD, Enrico Letta, aggiunge un altro tassello a quello che è l’uso pubblico (e improprio) della storia della Resistenza in Italia.
In un’epoca in cui si cerca di semplificare concetti e argomentazioni, forse è opportuno compiere il percorso inverso, ovvero approfondire.
Claudio Pavone nel 1991 – nel momento in cui l’URSS crollava e sorgevano quelle Repubbliche che oggi sono nei titoli di tutti i giornali – ha avuto il merito di riaprire il dibattito storiografico sulla Resistenza, superando un approccio mitologico e restituendo la triplice natura della lotta di Liberazione in Italia: guerra civile (tra fascisti e antifascisti), lotta di classe (contro la borghesia), guerra di Liberazione dall’invasione straniera (i tedeschi e in un certo senso gli alleati).
Nel conflitto che si sta svolgendo tra Russia e Ucraina, il paragone tra la “resistenza” ucraina e la guerra di Liberazione italiana costituisce un uso improprio, dettato da svariate ragioni:
1) Innanzitutto la presenza di un esercito, quello ucraino, che è vivo e vegeto, che non ha conosciuto la liquefazione seguita in Italia all’8 settembre 1943. Un esercito che è armato dai governi occidentali (non gratuitamente, vorrei ricordarlo) e che si scontra contro un altro esercito, quello russo, già rifornito da alcuni di quei governi occidentali.
2) La resistenza dei civili è cosa differente dalla “resistenza”, in senso militare, che attiene alle strategie difensive e controffensive dell’esercito ucraino. Sono queste strategie belliche che stanno avendo un ruolo determinante nel causare il ritiro dei russi dall’assedio di Kiev. Questa differenza, che non è una sottigliezza, è bellamente ignorata dai media, macinata nell’esaltazione di uomini e donne che si arruolano nell’esercito nazionale e non in qualche formazione clandestina dedita alla guerriglia urbana.
3) L’utilizzo che viene fatto della Resistenza italiana per rivendicare la correttezza dell’invio di armi all’esercito ucraino. Questo credo sia il punto più deprecabile degli interventi recenti di Letta. Non solo perché il PD in questo modo ha reciso completamente il legame che il PCI aveva creato, nella sua riflessione sulla Resistenza, tra la guerra di Liberazione e l’impegno per la pace. Ma anche perché dimentica la relazione profonda tra gli esiti della guerra di Liberazione, la stesura della Costituzione repubblicana e quell’articolo 11 che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
4) Infine, una retorica che nega qualsivoglia umana natura ai militari russi, ovvero la creazione di un nemico. Questo rende razionale e accettabile inviare armi per continuare ad alimentare il conflitto (pur violando le leggi dello Stato) piuttosto che denunciare il dramma in cui sono scaraventate le popolazioni dell’Ucraina e le migliaia di giovani russi costretti a combattere una guerra che sta causando lutti e disperazione alle loro famiglie, tanto quanto alle famiglie ucraine. Un conflitto aggravato dal dramma della fuga, riguardante tanto l’Ucraina quanto il Donbass.
Concludo.
Si avvicina il 25 Aprile e non può che essere un 25 Aprile di pace. Ma la pace – che non significa passività, ma impegno attivo per il disarmo, la distensione, la diplomazia – va rivendicata integralmente e non stando in mezzo al guado, con una bandiera arcobaleno sulle spalle e l’elmetto in testa.
Sono settimane che Repubblica e il Corriere dedicano paginate per attaccare chi non sta a questo gioco, chi non sta né con l’aggressione russa, né con chi ha fatto da incendiario in questi anni, ovvero la NATO.
I nostri partigiani erano uomini e donne, spesso ragazzi, cresciuti in un ventennio che li aveva educati alla guerra. La loro scelta di resistenza guardava ad un Paese indipendente che relegasse la guerra tra i ferri vecchi della storia. Una sinistra degna farebbe tesoro di questo patrimonio, di quella scelta.
Oggi, invece, vedo una gara ad accreditarsi tra i pacifisti con l’elmetto. Sono curioso di sapere di quale pace vorrete parlare il prossimo 25 Aprile.
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